con

Tania Eviani

canti

Paola Sabbatani

testo e regia

Eugenio Sideri

 

Siamo sul Fiume Montone. A destra e a sinistra degli argini si apre la campagna. Due argini, due lati opposti. Due date: 14 novembre e 17 novembre. Appena dieci giorni prima della tremenda strage che avverrà a qualche kilometro di distanza: i 56 martiri di Madonna dell’Albero.

14 novembre, località Le Mura. 17 novembre località Villa Capra.

Siamo nell’autunno avanzato del 1944: la zona attorno a Ragone e San Pancrazio, viveva in quel novembre un periodo particolarmente drammatico.  Tra l’8 e il 9 novembre i soldati della 114° jager division avevano rastrellato più di 200 persone per utilizzarne la forza lavoro. Le campagne attorno ai centri abitati erano state allagate e minate dall’esercito tedesco e spesso i tentativi di sminare quei terreni venivano violentemente puniti.

I tedeschi avevano fatto sfollare tutte le case che erano proprio sotto l’argine del fiume, mandando via le persone che però non volevano allontanarsi troppo, così molte famiglie erano state accolte  da quelli che abitavano un po’ più indietro del fiume. C’erano anche delle persone arrivate da Ravenna, degli sfollati, che credevano fosse più sicuro stare in campagna.

I tedeschi si erano stabiliti nelle case vuote sotto l’argine del fiume e ogni tanto durante il giorno andavano nelle case un po’ più indietro per portar via qualcosa, chiedevano le galline, i polli, le uova, il latte delle mucche, i maiali. Venivano sempre, un giorno in una casa, un giorno in un’altra, andavano a chiedere. A pretendere. A rubare.

E così era stato a casa dei Gardelli: sembra che la causa scatenante la tragedia fosse stata una discussione scaturita dal rifiuto del colono di consegnare un maiale che era stato ucciso e nascosto per essere sottratto alla requisizione. Durante la discussione si affacciò sul pianerottolo della scala il Gardela, che era il colono capofamiglia, sembra con un fucile da caccia, in mano, e i tedeschi quando videro questo col fucile cominciarono a sparare all’impazzata con il mitra. 24 persone presenti in casa furono tutte ammazzate.

Nella conta delle vittime ci sono state 3 bambine e 3 bambini in tenera età, poi 8 uomini tra cui un vecchio e 10 donne tra le quali due anziane. Era sopravvissuto soltanto uno dei Gardelli, che si era dentro una botte. A lui, e ai parenti delle altre vittime, nemmeno la possibilità di seppellire i propri cari: i tedeschi avevano impregnato i corpi dei trucidati con del liquido infiammabile, messi nel cavo sotto un pagliaio e gli era stato dato fuoco.

Tre giorni dopo, i tedeschi catturarono 17 uomini. C’erano stati degli scontri, nei giorni precedenti, con i partigiani e i tedeschi vollero vendicarsi. Andarono nelle case lì intorno e mandarono via donne, vecchi e bambini. Tennero gli uomini, prelevati dalle case Fantinelli e Pazzaglia,  condotti dai tedeschi verso il fiume, traghettati e portati a Villa Capra. Durante il tragitto 3 riuscirono a scappare e uno venne liberato per intercessione della sorella.

Lì sono stati divisi in due gruppi e, con le mani legate, sono stati avviati verso un frutteto poco distante, per essere sommariamente fucilati. Tra i catturati, c’erano i tre fratelli Amadori:  Ferino, nel primo gruppo, aveva gridato e messo in allarme i due fratelli nel secondo gruppo. Mentre il primo gruppo veniva fucilato, Vittorio Amadori era riuscito a slegarsi, ma non era subito fuggito. Cercava di slegare il fratello Dante. Purtroppo questa generosità è stata fatale ad entrambi. Vittorio è stato rincorso dai tedeschi che lo hanno colpito e poi seviziato, togliendogli gli occhi.