“DANTE IN CARCERE”

 CASA CIRCONDARIALE di RAVENNA, periodo Luglio-ottobre 2019

 

A cura di Carlo Garavini

Incursioni di Eugenio Sideri

 

Il progetto ha titolo Dante in carcere, poiché rientra all’interno delle celebrazioni del Settembre Dantesco della città di Ravenna. Da 4 anni vi partecipo, i primi due in qualità di studente, gli ultimi due in qualità di attore e assistente alla drammaturgia di Eugenio Sideri. Lo spettacolo di quest’anno si intitola Oltre il muro.

Carlo

 

LUGLIO

Entro in carcere a Luglio; Eugenio invece porta avanti il laboratorio già da quest’inverno. I giorni di laboratorio sono il lunedì e il venerdì dalle 13 alle 15 coi detenuti, il lunedì e il giovedì con gli studenti del Liceo Classico Dante Alighieri dalle 18:30 alle 20:30 presso il Teatro Zodiaco. I ragazzi del Liceo Classico li chiamiamo i “Ragazzi fuori” e i detenuti “Ragazzi Dentro”, per comodità d’ora in poi li distinguerò con RF e RD.

RD al momento sono 9:

  • Alessandro, italiano, tra i 20 e i 30 anni; da quel che ho capito possiede un bar in cui lavora;
  • Francesco, siciliano, intorno ai 50 anni; fatica a leggere;
  • Sergio, italiano, signore anziano, oltre i 70; non gode di buona salute;
  • Pietro, di origini campane, cresciuto in Romagna; giovane, non più di 30 anni, fuori lo aspettano una moglie, di 6/7 anni più giovane, e la loro bimba; sta seguendo un corso per diplomarsi;
  • Fatjon, albanese, tra i 30 e i 40 anni; molto sveglio, Eugenio mi ha detto che ha buona memoria. Poco prima dello spettacolo ci rivelerà che all’inizio non aveva molta fiducia nel fare teatro, anche perché è stato a teatro un’unica volta in tutta la sua vita per vedere un famoso comico albanese. Ha deciso di continuare per fiducia e stima nei confronti di Eugenio. Quando entreranno i liceali, ogni sera porterà merendine, bevande e pasticcini cpme benvenuto, da offrire a tutti;
  • Fall, africano, tra i 20 e i 30; capisce l’italiano, fatica a leggerlo; non parla più di tanto (dopo qualche incontro riuscirò a dialogare con lui per un quarto d’ora, cosa di cui Eugenio si meraviglia; parleremo del più e del meno, più che altro di bodybuilding);
  • Karim, marocchino, cresciuto a Milano, 24 anni. Entrerò in confidenza con lui e mi farà leggere un tema dal titolo “Nel mondo che vorrei…” che ha scritto per un laboratorio di scrittura che frequenta dentro: è un tema molto personale, in cui lui si immagina di parlare col padre, figura piuttosto negativa, e in cui ripercorre un po’ le tappe del suo arrivo in Italia; inoltre mi fa leggere altri suoi pensieri molto personali e mi racconta di volta in volta la sua vita a Milano;
  • Amir, tunisino, 22enne; mi colpisce il suo modo di salutare: ti dà la mano e poi se la batte sul petto, come a dire “ti porto nel cuore”; più avanti mi insegnerà che tra gli arabi il saluto è molto significativo: se uno ti stringe la mano con una stretta poco decisa, è un gesto di spregio, se invece ti saluta battendosi la mano al petto significa che ti rispetta;
  • Marco, italiano, tra i 40 e 50 anni.

RF invece sono 17, 16 ragazze e 1 ragazzo: Martina M, Martina B, Selena, Giada B, Giada M, Asja, Chiara, Roberta, Clara, Giulia, Federica, Beatrice, Amelia, Engij, Matilde, Saskia e Samuel.

RF sono quasi tutti italiani, in particolare Clara di origini belghe, Engij di origine albanase e Saskia di madre canadese. L’età varia tra i 15 anni e i 18. Alcune di loro avevano già partecipato a un progetto tenuto presso il Liceo Classico da Eugenio e me, perciò le abbiamo invitate noi a seguirci anche nell’esperienza in carcere (o comunque hanno ricevuto una circolare in classe in cui se ne parlava); altre hanno scelto di partecipare, appunto, leggendo la circolare di notifica in classe; Samuel ci aveva visto in scena nello spettacolo di Dante in Carcere dell’anno passato, siccome, essendo figlio di una guardia, ha potuto assistervi.

Il primo giorno in cui entro, Eugenio ci fa sedere in cerchio sulle sedie. Ognuno di noi stringe tra le mani le prime pagine di copione, quelle che fin a quel momento siamo riusciti a scrivere; preciso che non ci presentiamo sin da subito con un copione finito e pronto, bensì lo scriviamo pian piano che il laboratorio procede, così da poter “ricamare” le scene e i ruoli in base alle capacità di ciascun RD e ciascun RF: prima di leggere una scena, Eugenio e io spieghiamo a loro il significato di ciò che abbiamo scritto, in particolare ci soffermiamo sulle terzine dantesche: generalmente io faccio una prima spiega/parafrasi dei versi danteschi, poi Eugenio interviene e cerca di attualizzare il più possibile il loro significato; attualizzare nel senso di renderle vicine alla realtà dei RD; Eugenio cerca sempre l’empatia sia con i RD che con i RF, perché è con l’empatia che si può trasmettere un insegnamento: l’obiettivo in primis è quello di trovare la fiducia dell’allievo, detenuto e non; per trovare questa fiducia bisogna capirlo, capirne i desideri, i bisogni, capire cosa gli piace e cosa no, e poi si arriva a un linguaggio comune; una volta ottenuta la fiducia dell’allievo non c’è bisogno di impartirgli delle nozioni, ma c’è piuttosto bisogno di dargli degli esempi, che possiamo dare noi con il nostro lavoro o con dei racconti che esprimano un senso, un’idea che vogliamo trasmettere. Ottenere fiducia per dare l’esempio.

Trovare un’empatia con l’allievo è difficilissimo per quanto importante; ci vuole esperienza, richiede una gran capacità nel capire e nel farsi capire. A questo proposito è fondamentale non dar mai per scontato che gli altri sappiano ciò che sappiamo noi, ecco perché prima di leggere nuove scene e di assegnare delle parti, ci assicuriamo che capiscano ciò che andiamo a raccontargli.

Rientrando il nostro progetto nel Settembre Dantesco, la drammaturgia si basa sulle opere dantesche, in particolare la Divina Commedia e la Vita Nova; negli anni passati il testo si basava su cantiche separate, l’Inferno o il Purgatorio, mentre quest’anno, abbiamo scelto di lavorare sull’esperienza della vita dantesca: tutto ciò che sappiamo di Dante ci è stato trasmesso dalle sue opere, notizie mai del tutto attendibili per via dell’allegorismo e della finzione narrativa, o comunque ci è stato trasmesso da altri autori che ne parlavano, primo tra tutti il Boccaccio. Quello che ci interessava capire era se nella vita di Dante, quindi non solo nella Divina Commedia, ci fossero degli aneddoti o degli episodi che si potessero attualizzare, che potessero avvicinarsi alla tematica del rapporto tra genitori e figli con particolare riguardo alle esperienze dei nostri RD e dei nostri RF.

Leggendo Vita di Dante di Emilio Pasquini, abbiamo scelto di riportare il testo della condanna dell’esilio, testo facilmente reperibile online; guardando invece alla Vita Nova di Dante, abbiamo adattato un sogno che lui fa all’inizio, poco prima della morte reale di Beatrice Portinari, in cui lei, tenuta in braccia da una nera figura, Amore, mangia il cuore del poeta; questo primo evento rappresenta la morte della felicità, cioè Dante con Beatrice crede di avere tutto ciò che fosse possibile desiderare, tutto l’amore, tutta la felicità del mondo, e poi, all’improvviso, questa felicità scompare. A questo lutto improvviso, appunto, si aggiunge la condanna di cui sopra.

Inoltre abbiamo trovato alcune scene dentro le opere di Dante sopracitate, come lo scontro con le tre fiere infernali, l’incontro con Virgilio, dolcissimo padre, lo scontro coi diavoli Malebranche che tentano di ingannare Dante e la sua guida, la salita al Purgatorio; in mezzo quindi a dei riadattamenti del testo dantesco, abbiamo inserito delle scene originali, ispirate a ciò che ci è stato raccontato e dai RD e dai RF: abbiamo pensato, riflettuto, letto giornali, parlato con genitori e figli, conoscenti, amici, familiari, abbiamo preso tutto questo materiale e poi lo abbiamo tradotto nell’immaginario di Dante; per esempio Dante nella Selva dei Suicidi non incontra il Gran Pruno, ovvero Pier delle Vigne, bensì un’adolescente che in crisi con i genitori è sul balcone, in bilico tra la vita e il suicidio.

Infine lo spettacolo si conclude con il testo riadattato di una canzone dei Modena City Ramblers, Oltre il Ponte; il testo di questa canzone è particolarmente significativo, parla di partigiani di vent’anni o poco più che durante la Resistenza si trovano ad affrontare il nemico nazi-fascista, un nemico enorme, apparentemente invincibile, gigantesco, un nemico che è di là dal ponte, di là da un ostacolo che sembra insuperabile, se non grazie all’unione e alla solidarietà di tutti coloro che hanno preso parte al movimento partigiano; questo oltre il ponte per noi, simbolicamente, è diventato Oltre il muro, titolo dello spettacolo. Il coro finale, composto da RD e RF, recita:

 

“A vent’anni la vita è oltre il ponte

Oltre il ponte, comincia l’amore.

A vent’anni la vita è oltre il muro

Oltre il muro comincia l’amore.”

 

Dunque nelle prime settimane di prove spieghiamo e leggiamo le scene che Eugenio e io di volta in volta scriviamo. Quando successivamente affrontiamo l’imbastitura delle scene e affrontiamo le movenze teatrali, quindi diciamo ai RD di muoversi come se fossero in una jungla, oppure come se fossero dei diavoli, incontriamo qualche difficoltà dovuta alla timidezza dei detenuti. La loro preoccupazione principale è di essere visti dagli altri detenuti o dai familiari mentre si muovono in modo così strano e imbarazzante; non pensano che si tratta di finzione e che fare ciò che stanno facendo non sia affatto facile (d’altronde saranno loro, alla fine, ad aver avuto il coraggio di entrare su palco davanti a tutti, loro e non gli altri; questo bisogna sempre ricordarlo sia ad adolescenti, ma anche agli adulti, sia ai detenuti). E poi è importante anche fargli capire che ciò che stanno creando è un dono per coloro che avranno di fronte; per esempio durante le prove di quella che noi chiamiamo la Scena dei Diavoli, in cui ciascuno di loro ha una movenza goffa, fa versi grotteschi, anche un po’ buffi, uno di loro ci ha detto preoccupato che gli altri detenuti avrebbero riso vedendoli, allora Eugenio gli ha spiegato che se gli farli ridere, sarebbe stato come fargli un regalo. E’ importante far capire il valore dello spettacolo e più in generale del teatro: e questa importanza la capiranno anche attraverso ciò che scriviamo. Abbiamo scritto una scena per Pietro, un ragazzo che ci ha raccontato di aver sofferto l’assenza di punti di riferimento, soprattutto riguardo i genitori, nessuno gli aveva mai detto cosa fosse giusto o sbagliato:

“Per me era così con le foto di mamma e papà: ci sono state delle notti che sono tornato tardi, con la strada più buia del solito, o notti in cui mi sono sentito male per le occasioni che avevo perso, o per il tempo che avevo sprecato o per qualcosa che secondo me non era andata per il verso giusto. Allora mi imbattevo nelle foto di mamma e papà e guardavo i loro occhi. Se ci amano veramente, nel cuore di mamma e papà ci sarà sempre un posticino privilegiato. E guardavo i loro occhi e chiedevo consiglio, e loro me lo offrivano con gli esempi che mi avevano dato con le loro vite. Guardavo i loro occhi e chiedevo perdono… Bastava che glielo chiedessi con una lacrima… Bastava che glielo chiedessi col cuore.”

La sera in cui gli abbiamo assegnato questo monologo, lui, commosso, ci ha ringraziato.

 

Intanto incontriamo anche le RF al teatro dello Zodiaco. Il procedimento è il medesimo: prima di leggere il copione e di assegnare le parti, Eugenio e io spieghiamo il significato di ogni scena. Anche qui si tratta di trovare empatia, cercando un linguaggio comune, cercando di capirle e di farci capire.

La tematica del rapporto tra genitori e figli è sentita anche da alcune delle RF: genitori invadenti, oppressivi, genitori che non danno fiducia e genitori che pretendono costantemente il meglio, genitori che trasmettono ansia, provocando crisi di panico, oppure genitori che innamoratissimi del proprio figlio, sono anche troppo presenti. Pensando a queste situazioni, abbiamo scritto ad hoc la Scena delle Madri, ispirandoci a una poesia di Pasolini; in questa scena prima vediamo delle madri esasperate da una società fredda, scontrosa, dove non si hanno punti di riferimento e queste madri, loro stesse prive incapaci di essere punti di riferimento, pregano i propri figli di liberarsi dal destino della vita persa, di ribellarsi trovando la via, trovando la strada; repentinamente queste madri cambiano e l’esortazione di prima diventa un ordine urlato, uno sfogo che suona come un insulto, e dicono di non perdere tempo, negando così ai propri figli il diritto di “perdere tempo”, di svagarsi, di fare tentativi alla ricerca del proprio gusto, dei propri tentativi, negano questo diritto in vista di una serie di attività che i figli devono seguire per avere un futuro di successo (devi studiare, devi fare sport…):

CORO: Per me si va

Nella città dolente

Per me si va

Nell’eterno dolore…

MARTINA M:  Noi siamo le madri, madri costrette al pianto del dolore, come la madre di Gesù, madri straziate nel vedere figli e figlie crocefissi alla vita persa,

SELENA: madri che hanno perso le parole perché c’è solo rumore

CHIARA: madri che si sono fermate perché tutto è veloce e di corsa

MATILDE: madri che piangono senza lacrime perché il lamento è stato abolito

CORO: Si grida oggi senza pietà

si piange oggi senza dolore

ci si nutre oggi senza avere fame

Figli!

GIADA M: La diritta via è smarrita

La selva oscura è il paese dei balocchi

CORO: Figli

CLARA: Cercate la via

Cercate la luce

Cercate il sapere

Cercate anche quando non trovate…

AMELIA: Mamma, perché il cielo è blu? Papà, perché il cielo è blu?

(Silenzio)

GIADA B: Mamma, papà… Vi danno fastidio le domande dei bambini?

(Silenzio)

SAMUEL: Sono stupide le domande dei bambini?

CORO: Per me si va nella città dolente…

AMELIA: Mamma, papà, perché non mi rispondete?…

CORO: Per me si va nell’eterno dolore…

ROBERTA: Vi prego. Datemi una risposta…

CORO:  Per me si va tra la perduta gente…

ENGJI: perché il cielo è blu?

CORO: Cosa fai lì? Non perdere tempo! Devi studiare! Devi mangiare! Devi fare sport! Devi devi devi! Non perdere tempo!

La scena poi conclude con un monologo di Dante:

CARLO (Dante): Maestro, è stupido perdere tempo? Forse è la parola perdere che è sbagliata… Perdere sembra come dire… Essere sconfitti… Come se nella vita ci sia sempre un conflitto, e c’è chi vince e c’è chi perde… Ma poi cosa si vince? E perdere?… Cosa si perde?

Si perde tempo? Ogni secondo che diventa passato si perde, perché non si può tornare indietro… Quindi in ogni caso perdiamo… Perdiamo vita e ci avviciniamo alla morte, che ci aspetta là in fondo ineludibile. Però, anche se siamo animali mortali, pieni di errori, pieni di dolore, possiamo donare a qualcun altro la vita. La felicità della vita. 

 

Per quanto riguarda le prove con le RF non abbiamo riscontrato difficoltà, il gruppo è pronto a mettersi in gioco. Notevole il fatto che nonostante fosse estate e facesse molto caldo, quasi tutte le RF, salvo viaggi/vacanza  o altri impegni, hanno frequentato con costanza il laboratorio.

 

AGOSTO

Tra fine Luglio e inizio Agosto Sergio, quello più anziano del gruppo, è indeciso e non sa se proseguire l’esperienza: da un lato gli piacerebbe molto, dall’altro le condizioni fisiche non glielo consentono. Alla fine è costretto ad abbandonare il progetto agli inizi di Agosto.

Anche Marco, un altro facente parte del gruppo, è costretto ad abbandonare il progetto in seguito a sanzioni disciplinari per aver preso parte a una rissa con un altro detenuto (anche quest’ultimo era venuto a due prove ed era interessato a proseguire l’esperienza. E’ stato trasferito).

Poco prima della metà di Agosto, entrano nel gruppo altri 4 detenuti:

  • Davide, romagnolo, due figlie, tra i 40 e i 50; ha buona memoria, assieme a Fatjon e Pietro sarà uno di quelli con il maggior numero di battute;
  • Ekrem, albanese kossovaro, tra i 30 e i 40;
  • Felice, napoletano, giovane, tra i 20 e i 30; Eugenio scriverà un monologo in napoletano tutto per lui, per premiarlo del suo coinvolgimento;
  • Nicolas, nigeriano, 32 anni, due figli in Francia, legge con fatica; in carcere ha ottenuto la terza media.

Il mese comincia con l’imbastitura delle prime scene in parallelo con RF e RD (le RF entreranno nella Casa Circondariale solo a Settembre). Ad ogni prova Pietro porta il caffè per tutti, segno, secondo me, di gratitudine per ciò che il laboratorio è, ovvero un momento di “evasione”, ovviamente in senso lato: durante le ore di laboratorio queste persone incontrano qualcuno che viene dal mondo fuori, qualcuno che vede cosa succede la fuori, qualcuno di diverso dalla routine carceraria; di questo credo ne siano molto consapevoli.

Sempre Pietro, mi racconta Eugenio, è cresciuto molto da quest’inverno: prima era molto sciocco, rideva in continuazione e rendeva difficile la prosecuzione del lavoro, adesso invece ha cominciato a impegnarsi: ci propone i testi di alcune canzoni del rapper Emis Killa da inserire nello spettacolo e, col permesso dell’Autorità carceraria, costruirà una sorta di guanto-sputa-fuoco per il personaggio di Malacoda, capo delle Malebranche; decidiamo così di premiarlo con quel monologo riportato sopra in corsivo; come già detto si mostrerà molto grato di questa cosa.

Poco prima della pausa ferragostana, però, per Pietro c’è una complicazione: scrive una lettera di ringraziamento alla Dirigenza della Casa Circondariale e a tutto il personale penitenziario, in cui si mostra molto riconoscente per il trattamento ricevuto in carcere (non in senso ironico); la proposta è quella di leggerla a fine spettacolo, ma viene rifiutata con decisione e severità. Pietro ci rimane molto male e anche noi, in un primo momento non ne capiamo il motivo; in seguito ci viene spiegato che leggere una lettera di elogio al personale penitenziario davanti al pubblico delle autorità, potrebbe sembrare un atto autocelebrativo da parte della Dirigenza.

Verso metà Agosto le scene scritte fino a quel momento sono già tutte imbastite e il gruppo dei RD di “siede” un po’, cioè prosegue l’attività un po’ blandamente. Ciò succede anche fuori, con le ragazze; sia dentro che fuori queste prove “rilassate” aiutano a “fare spogliatoio”, come diciamo tra di noi, cioè fare gruppo, conoscerci e affiatarci. Però mentre fuori, con le ragazze, vediamo che il ripasso delle scene già pronte procede con serietà, dentro avvertiamo che ancora non è stata ancora percepita la difficoltà dell’andare in scena. In termini pratici: se un attore in prova si abitua a rimanere presente, concentrato e a muoversi solo quando necessario, allora questo gli verrà facile anche durante lo spettacolo, ma se in prova si abitua a pensare ad altro, a distrarsi, a grattarsi il naso o dondolare sui piedi, allora gli verrà da commettere questi errori con altrettanta facilità mentre è in scena. Far capire la presenza dell’attore è un grado di maturazione del laboratorio molto importante. Così decidiamo di mostrare ai RD il video dello spettacolo di anno scorso, mostrando quanto sia difficile stare in scena davanti a un pubblico che conta centinaia di persone. Molti di loro comprendono e nelle prove successive mostrano subito più impegno.

Per Ferragosto ci fermiamo, sia con le RF che con i RD. Fuori il lavoro prosegue senza intoppi e una sera organizziamo anche una pizzata.

Poi succede che, alla ripresa delle prove,  si presenta a teatro la madre di una ragazza che nella prima scena sarebbe entrata su palco in braccio a Fall, chiedendo preoccupata di essere rassicurata sul fatto che il detenuto non faccia del male a sua figlia. Eugenio risponde duramente (condivido con lui la durezza della risposta) dicendo che dentro non lavoriamo con degli animali, non siamo allo zoo, bensì lavoriamo con delle persone, che hanno due occhi, un naso, una bocca e due orecchie come tutti noi, e se sono dentro, certo un motivo ci sarà, ma comunque se sono dentro stanno già pagando i loro errori; a essere trattati come bestie, lo si diventa.

Sono esterrefatto dalle parole di quella donna. Mi chiede di capire la sua preoccupazione (preoccupata di cosa?), che lei “viene dal Sud e quindi…” (e quindi cosa?) e che “…ma siamo proprio sicuri…” (sicuri di che?). Sento l’ansia di questa persona, la violenza che, seppur celata da parole educate e gentili, esprime dichiarando chiaramente il suo ribrezzo verso i detenuti. La guardo e vorrei gridarle che la vera bestia è lei, ma per fortuna mi trattengo e le spiego per tre volte che il progetto, fin dalla presentazione a giugno a scuola, prevedeva appunto che i due gruppi, RD e RF, si mescolassero. Era fin dalle premesse, le ripeto, quindi se non le andava bene, non avrebbe dovuto aderire. Balbetta, inciampa, abbassa gli occhi e io allora aggiungo che, volendo, avrei potuto anche sostituire sua figlia con un’altra ragazza: in fondo si trattava di una scena breve, in cui il detenuto (guarda un po’ Fall è un senegalese nero come il carbone) entrava con la ragazza tra le braccia, deponendola a terra, andando a costituire una sorta di pietà michelangiolesca, ma al contrario (tra le braccia la donna). Ma aggiungo che non farò quella sostituzione, perché sarebbe togliere senso all’intero progetto e che, se questo non fosse andato bene, avrebbe potuto ritirare la figlia dal gruppo. E aggiungo che, in ogni caso, tutto quello che succede all’interno del laboratorio in carcere, è tenuto attentamente sotto controllo sia dal personale carcerario che dalle educatrici, sempre presenti alle prove quando i due gruppi lavorano insieme in carcere. La donna, poco convinta e mogia mogia, se ne va.

Intorno ai primi di settembre Karim viene scarcerato. Lo sostituiamo assegnando le battute ai nuovi arrivati; da qui cominciamo ad assegnare le stesse battute sia a un detenuto sia a una delle RF, in modo che se all’improvviso il detenuto dovesse essere scarcerato o trasferito o messo ai domiciliari anche  due giorni prima dello spettacolo (successo in due o tre casi l’anno scorso), avremmo già la sostituzione pronta.

Il carcere di Ravenna è una Casa Circondariale, un piccolo carcere che ospita 60/70 detenuti in attesa di pene definitive, quindi a volte può capitare che alcuni dei partecipanti escano o siano spostati all’improvviso.

 

SETTEMBRE

A cavallo tra Agosto e Settembre esce anche Nicholas. Questa volta, fatto sorprendente, i detenuti si sono organizzati da soli e si sono assegnati tra loro in autonomia le battute rimaste senza interprete: cioè noi siamo arrivati il venerdì alle prove sentendoci dire che Nicholas era stato scarcerato mercoledì e che si erano già organizzati per sostituirlo.

È un piccolo ma significativo successo: il gruppo degli RD sta credendo nel lavoro, nello spettacolo. Non lo sentono solamente come uno svago, un impegno, ma qualcosa di più: una esperienza di vita. La nostra passione li ha non solo contagiati, ma ha fatto arrivare empaticamente il senso del progetto e del teatro che facciamo insieme.

 

A Settembre arrivano anche le RF. I detenuti non facevano che chiedere di loro, non vedevano l’ora di vederle. Spesso i RD preparano qualcosa da mangiare per la fine delle prove, oppure ci portano i pasticcini, o le merendine; tutto di tasca loro.

Il clima è buono, c’è voglia di fare bene, tutti quanti. La presenza delle RF aiuta i RD, soprattutto in serietà, perché se le ragazze in scena non si distraggono e stanno concentrate, i detenuti prendono esempio e anche loro stanno più attenti. Dopo le prove le RF sono molto curiose di conoscere i RD, specialmente di sentire le loro storie e i racconti della realtà carceraria; tra liceali e detenuti c’è chi gioca a dama e chi si siede attorno a un tavolo a parlare.

A Settembre entra alle prove anche Enrico Caravita, assistente di Eugenio; si mostra subito molto carismatico e colpisce l’intero gruppo mostrando di aver imparato tutti i nomi dei RD già al primo incontro, e ad ogni prova saluterà tutti quanti per nome; l’essere chiamati per nome, secondo me, è importante per i RD (come d’altronde per ciascuno di noi, ma la cosa non deve essere data per scontata); altra cosa che colpisce (e diverte) il gruppo intero, quindi sia RD che RF, è una dimostrazione d’attore di Enrico: per far capire al gruppo come potersi muovere nella Scena dei Diavoli, si butta a terra, fa versi e per un attimo tiene l’attenzione di tutti. Credo che la presenza di un professionista sia molto stimolante per tutti (ancora una volta: d’altronde per tutti coloro che partecipano a un laboratorio di teatro è stimolato lavorare al fianco di un professionista, ma mai dare la cosa per scontata).

Si crea una buona squadra e una certa alchimia tra RD e RF. Le prove procedono splendidamente, finché a due settimane dal debutto (20 Settembre) non facciamo una prova generale di fronte alla direttrice e le due educatrici. I detenuti vanno in palla, si dimenticano le battute, si deconcentrano, cercano sempre lo sguardo della direttrice per capire il suo giudizio. Parlandoci gli facciamo capire che non devono avere paura di questo; con ciò e con le numerose filate che facciamo nei giorni a seguire, acquisiscono sicurezza.

Siamo a tiro di debutto, esattamente la settimana prima tra il 16 e il 22 Settembre. Nel weekend un detenuto, non del nostro gruppo, tenta il suicidio; per il trauma riportato muore in Ospedale dopo qualche giorno. Il martedì Eugenio decide di rivelarci che lo spettacolo è sospeso e ce ne racconta il motivo; non ce lo ha comunicato sulla chat di WhatAapp, bensì ha aspettato di vederci fuori dal carcere. La vicenda sconvolge tutti: le ragazze sono in lacrime, io sono frastornato, per qualche minuto dentro di me c’è il nulla e non parlo; Direttrice, educatrici e detenuti sono i più sconvolti, ovviamente. L’evento dello spettacolo dentro, da sempre, è una festa, non ha senso festeggiare in un momento così, quindi è rimandato, anzi, non si è nemmeno sicuri se si farà.

Eugenio, Enrico Caravita, Marco Parollo (fotografo che segue le prove) e io ci ritroviamo per parlarne la sera stessa; alla fine della serata, dico con Eugenio che quel che è successo mi ha fatto capire quanto sia importante esserci. Essere lì, con il nostro laboratorio. Con il teatro. Ma quello che stiamo facendo non basta.

Il triste avvenimento della scomparsa di quel detenuto, ci sbatte in faccia la cruda realtà delle carceri italiane, eppure a Ravenna siamo in un’isola felice, dove non ci sono episodi di violenza sui detenuti da parte delle guardie; i detenuti non stanno chiusi in cella tutto il giorno, ma possono girare per la sezione; ci sono diversi corsi che si possono seguire, come quello per imparare a fare la pizza, un altro corso di chitarra, un cineforum, un gruppo di lettura e scrittura, un laboratorio di lavorazione della pelle e il nostro di teatro… Ci sono tante attività a cui dedicarsi nel carcere di Ravenna; dentro si susseguono anche diversi eventi, come il concerto di Riccardo Muti, il nostro spettacolo e uno spettacolo che Eugenio ha portato dentro assieme a Enrico Caravita; insomma c’è la volontà di dare a queste persone una nuova possibilità e c’è la volontà di non lasciarli soli, di non abbandonarli.

Ma mentre a Ravenna possiamo ammirare un tale operato, nelle altre carceri sappiamo che non è così, e questo emerge soprattutto dai racconti degli stessi detenuti.

Ogni anno vengono spesi circa 3mld di euro per il sistema penitenziario italiano, il 98% di questo denaro viene speso per la struttura e per la polizia penitenziaria, il restante per progetti di rieducazione; in Italia c’è il 67% di indice di recidiva, il che vuol dire che una volta usciti, gli ex detenuti tornano a delinquere; senza considerare i suicidi che avvengono ogni anno dentro gli istituti penitenziari. Mi chiedo allora: forse ci vorrebbero ulteriori investimenti? Quali investimenti dovrebbero essere affrontati nella gestione del sistema carcerario affinché questo rieduchi, affinché offra veramente la speranza di essere riportati sulla retta via così come previsto anche dal motto della stessa Polizia Penitenziaria (despondere spem munus nostrum)? Il personale penitenziario è istruito adeguatamente a questo fine?

E infine la società è pronta a riammettere coloro che, dopo aver sbagliato, hanno pagato le proprie colpe con la detenzione? Il percorso di recupero termina con la fine della detenzione o gli ex-detenuti dovrebbero essere seguiti da qualcuno? Penso anche al nostro laboratorio di teatro: non potrebbe aiutare i nostri RD la prosecuzione di un’esperienza teatrale anche una volta che escono dal carcere? Il teatro educa, insegna delle regole, insegna a stare in una piccola società che il gruppo laboratoriale e, magari, aiuta a non sentirsi soli…

Insomma, la vicenda ci ha costretti a porci tante domande e d’ora in poi lavoreremo per trovare delle risposte.

 

Settembre termina con del subbuglio. I detenuti si lamentano, la morte di uno di loro ha segnato profondamente il piccolo carcere. La Direttrice ha un’idea: sa che Eugenio è molto stimato e il gruppo ha fiducia in lui, così gli chiede di incontrare i RD e chiedere loro come si sentono e cosa gli passa per la mente. Eugenio mi confessa di non sapere come affrontarli, non gli era mai capitata una situazione simile. Alla fine i detenuti apprezzano tantissimo la sua visita. E’ stata una buona idea.

La notte mi preparo mille discorsi. E al mattino vado ad incontrare il gruppo. Da alcuni giorni non ci vedevamo e tutto era sospeso. Mi accolgono stupiti ma felici. Ci abbracciamo, sorridiamo insieme. E poi, come sempre, faccio cerchio. E le parole se ne vanno via. Tutto quello che avevo preparato se ne va. Allargo le braccia, li guardo, e parlo col cuore in mano. Poche cose: la scelta di proseguire o meno è la loro. Io, in ogni caso, sono felice del percorso fatto insieme e non mi permetterò alcun tipo di giudizio o commento. Aggiungo: per me non è vero che “the show must go on”, per me vale la vita, valgono le persone. E proprio per questo sono lì, ad ascoltarli.

Mi guardano, seri, e poi si guardano tra loro. “Ci fidiamo di te e siamo con te. Facciamo lo spettacolo”. Ci sono due guardie che hanno assistito a tutto questo. Le vedo, con la coda dell’occhio: sono incredule. Mentre usciamo una di loro si avvicina e mi dice: come hai fatto? e io: cosa? A convincerli, mi risponde.

Io non ho fatto proprio niente. Sono loro che hanno scelto di rimanere con me. Questo è un gruppo.

OTTOBRE

Dopo un paio di settimane di silenzio, riceviamo la notizia che lo spettacolo si farà Domenica 13 Ottobre; c’è però un problema, il 13 non ci sarà il Coro Ludus Vocalis, perciò il debutto viene ulteriormente rimandato al 19 Ottobre. C’è un altro rischio che non avevamo mai preso in considerazione: le condizioni atmosferiche. Può far freddo, ma al massimo ci si copre un po’ di più, e soprattutto può piovere; nel caso lo spettacolo non si terrebbe nel cortile di fronte a duecento spettatori ma si terrebbe al chiuso, in refettorio, di fronte alle autorità e al personale penitenziario, oltre che davanti agli altri detenuti. Speriamo tutti che non piova, naturalmente.

Le prove riprendono e c’è tanta voglia di andare in scena. La settimana dello spettacolo proviamo quasi tutti i giorni: lunedì, martedì, giovedì e venerdì, ore 19:00.

Il giorno dello spettacolo stiamo in carcere sin dal mattino; ormai siamo affiatati, c’è confidenza tra RD e RF; pranziamo insieme e per tutto il giorno si gioca, si ride, si scherza e finalmente, alle 17:00 si va in scena. Lo spettacolo va alla grande con un buon successo di pubblico. I detenuti alla fine dello spettacolo sono su di giri, sono felicissimi, alcuni dicono che è un’esperienza che si porteranno dietro per tutta la vita e che mai avrebbero immaginato di fare.

Dopo lo spettacolo, come ogni anno, c’è un momento conviviale, in cui pubblico e attori mangiano assieme nel cortile adiacente. In questa occasione i detenuti non perdono l’occasione per presentarci le loro famiglie, venute appositamente per lo spettacolo (alcuni hanno partecipato al laboratorio di teatro “solo” per vedere la propria famiglia; solo quelli che sono in scena possono invitare i familiari per quella serata).

Piano piano, in fine, loro tornano nelle loro celle e noi, dopo averli salutati, torniamo a casa, aspettando di rivederli in un ulteriore pranzo dentro la Casa Circondariale.