Foglio di sala Dante in carcere 2019
Dante siamo noi che ci teniamo per mano
di Carlo Garavini (attore e co-autore dello spettacolo)
E’ notte, è buio e fa freddo. Ci troviamo in mezzo a una bufera di neve e siamo scalzi, vestiti con degli stracci. Siamo un gruppo di umani, tutti in fila indiana e ci teniamo per mano. Il primo della fila procede tastando l’aria, come un cieco col bastone, e noi dietro a lui. Non una luce, non una strada, non si vedono nemmeno le stelle o la Luna, non si vede niente. Bisogna solo sopportare il freddo e continuare a camminare, fidandosi di chi ci guida. E guai a mollare la mano del proprio compagno! Separarsi significherebbe perdersi e probabilmente morire di freddo, o di paura.
Quest’immagine appartiene a Renata Viganò, che la descrisse nel suo romanzo L’Agnese va a morire, del 1949. Ho letto questo libro ad Aprile, in occasione della ricorrenza della Liberazione dall’occupazione nazi-fascista dell’Italia. Poi, in quel periodo, Eugenio Sideri mi ha chiesto se mi andava di scrivere con lui lo spettacolo di Dante in carcere anche per quest’anno (la prima volta è stata quella dell’anno scorso).
Prima di cominciare a scrivere – mi è stato insegnato – occorre avere un’idea. Intanto, però, avevo chiara in mente quella scena de L’Agnese va a morire… Dunque mi sono detto: Dante sono io, Dante è Fatjon, è Pietro, è Amir, è Nicholas, è Francesco, Alessandro, Fall, Davide, Karim, ma anche Martina, Chiara, Enrico, Giulia, Matilde, Eugenio, Samuel, Giada… Dante siamo noi: genitori e figli, maestri e discepoli, grandi e piccoli, ragazzi dentro e ragazzi fuori, noi umani e i nostri punti di riferimento.
Dante siamo noi che, anche se adesso ci troviamo avvolti dalla notte e dalla bufera di ansie, preoccupazioni, tragedie familiari, test scolastici, esami fuoricorso, tradimenti, gelosie, nuovi amori, ferite aperte, processi penali, crisi, mutui da pagare, stipendi tagliati o bloccati, pensioni irraggiungibili, cattiva politica, corruzione, ingiustizie sociali, crisi climatica, foreste che bruciano e ghiacciai che si sciolgono, malattie che si diffondono attraverso l’aria inquinata fino ai nostri polmoni… In tutto questo Dante siamo noi che ci teniamo per mano e ci facciamo guidare da qualcuno di cui scegliamo di fidarci. Dante siamo noi che, anche se la selva oscura è tanto amara che poco più è morte, scegliamo di esserci, di prenderci cura degli altri e di noi stessi, scegliamo di continuare a vivere e a lavorare onestamente, con la volontà di fare il bene di chi ci è vicino e anche di chi ci è contro, disposti a perdonare chi cade in errore, a patto che l’errore venga riconosciuto e corretto (ma non cancellato!).
Oggi come oggi, soprattutto noi giovani, vediamo il nulla attorno a noi: è notte fonda, è buio e fa freddo. Fatichiamo a trovare punti di riferimento, a riconoscere un sogno come realizzabile e un valore come valore morale. Ma noi abbiamo il pieno diritto e l’assoluto dovere di non mollare la mano dei nostri compagni. Separarsi significherebbe perdersi e probabilmente morire…
L’idea di questo spettacolo, ma più in grande il senso del teatro dentro al carcere, è proprio questa: chiedersi aiuto reciprocamente e tenersi per mano gli uni agli altri.