di
Herbert Achternbusch

traduzione
Luisa Gazzero Righi

ideazione
Eugenio Sideri – Maurizio Lupinelli

progetto luci
Valentina Venturi

regia
Eugenio Sideri

produzione
Santarcangelo dei Teatri – Ravenna  Teatro – Lady Godiva

in collaborazione con
Goethe Institute – Milano

 

“Conosco un uomo che – se nel suo corpo o fuori dal suo copro, non lo so, lo sa Iddio – fu rapito fino al terzo cielo”.
S. Paolo, II° lettera ai Corinti, 12,2

Ella sta nella carne. In quella carne straziata dalle botte, violentata nei pensieri e nelle azioni.

Carne che resta appesa alle ossa solo per un filo sottile, un respiro di autoconservazione.

La persona che soffre è normalmente priva della risorsa del discorso: il linguaggio adatto al dolore viene talvolta creato da coloro che non soffrono, ma parlano per conto di chi soffre. Il dolore fisico non ha voce, ma quando ne trova una, questa comincia a raccontare una storia.

Ella comincia allora a vivere tra le parole, le frasi frantumate, le grida d’amore lanciate dall’inferno in cui è costretta a vivere. Ella vive la sua storia nel racconto del figlio. 

Che è Ella

Eugenio Sideri

“Vi voglio fregare tutti, proprio tutti”
(scritto su un muro)

Nel suo lungo e accidentato viaggio, Ella, rimbecillita dalle botte e dalle brutture, ha perso progressivamente la capacità di esprimersi, ma è assolutamente ferrea nel riferire i simboli delle varie gerarchie di potere che la oppressero: il medico, lo psichiatra, la capo-infermiera, la suora, figure tutte legate puntualmente ai luoghi in cui essa ha avuto la sorte di sperimentarle.

Ella non è normale, è pazza. Questo è chiaro. Fin troppo chiaro.

Ma la Madonna che lei vede sui tetti nessuno potrà togliergliela.

E allora non so più cosa aspettarmi: perchè lei può fregarmi, da un momento all’altro.

Una frase d’amore detta all’inferno.

Ecco cosa mi posso aspettare da Ella.

E che mi faccia entrare in casa sua e mi mostri gli angoli della sua vita, quelli dove ha gettato la carne del suo corpo. Così Ella trova la voce. Una voce che mastica parole feroci. invettive e invocazioni che si alternano ad un racconto frantumato.

Già frantumato, spezzato, sgangherato.

Ma preciso e puntuale, nel suo percorso dal fegato al cuore.

Ella è un testo scritto nel 1978 da Herbert Achternbusch, attore, autore, regista, sceneggiatore e pittore tedesco che mette in scena momenti autobiografici creando metafore di follia quotidiana, abitate da figure insolite, in un gioco antinaturalistico che fa emergere l’assurdità del reale.

ella

“Herbert caga la sua ultima salsiccia. Herbert ha cagato. Alla fine, et ne stai in cima ad una montagna di merda. Fiero, puoi dire: l’ho fatta io! Un’intera montagna!

Spesso si avverte che la fine è vicina. Poi, però, subentra questa fierezza per la montagna che si è prodotta e la vita va avanti. Questo è il senso della vita, si potrebbe dire, fare di una montagna di cibo una montagna di merda.

A ben vedere, questo è l’unico senso dell’esistenza”.
(Herbert Achternbusch, il chiosco delle salsicce)

E’ tardi. Notte con nebbia. Come sempre, qui in Romagna la nebbia ci accompagna da ottobre ad aprile. E la terra si fa umida, come a raccogliere le lacrime dei contadini che ci hanno preceduto. Perchè noi veniamo da quella terra e l’umidità ce la portiamo addosso. Come i contadini. Già, contadini-teatranti, ecco quello che siamo.

E’ tardi. Non fa freddo ma l’umidità si fa sentire. Sarà per l’acqua che abbiamo sotto i piedi, qui in Romagna. Dicono che salga 60 cm all’anno. Subsidenza. Una parola difficile per dire che sotto abbiamo fango, acqua e  terra mischiate insieme. C’erano le paludi, una volta. E’ stato necessario trasformare. Per essere ora contadini. Come a teatro.

TRASFORMARE LA LINGUA IN VERA CARNE UMANA… E VICEVERSA, ci insegna Werner Schwab.

E Achternbusch, in Ella, di lingua ne ha messa. Tanta e bellissima. Forte, cruda, feroce e visionaria. E tutto questo ci affascina. Tanto che abbiamo voluto mettere in scena il testo, o meglio, METTERE IN ESSERci, rappresentare cioè quella vita che è precipitata, gettata e coagulata nel proprio ci, nel qui ed ora ogni giorno, nella propria orizzontalità quotidiana, non in un salto verticale, metafisico. Perchè la messa in esserci è più attaccata alla carne, all’uomo, e non è una “vita” qualsiasi, citata così, come per caso.

Una messa in esserci. E’ in quel ci che sta la vita, la vita di Ella, il mondo che vive e che la schiaccia, la prigione e la visione; è in quel ci la Baviera di Achternbusch, terra da cui parte e a cui giunge, senza sentimentalismo, senza folklore, ma affondandosi nelle sue radici per scagliarsi altrove. E’ quel ci la nostra terra di nebbia e palude, la Romagna del quartiere Darsena, terra da cui partiamo e a cui giungiamo.

Il dolore fisico, dice Elanie Scarri, non ha voce, la persona che soffre è normalemente priva della risorsa del discorso; il linguaggio adatto al dolore viene travolta creato da coloro che non soffrono, ma parlano per conto di chi soffre. Il dolore fisico, continua la Scarry, non ha voce, ma quando ne trova una questa comincia a raccontare una storia.

Lupo per Ella, allora: ecco l’equivalenza, la messa in esserci che attraversa i luoghi della reclusione della sofferenza. Una via crucis che incontra luoghi e storie tra il piccolo campo sportivo della parrocchia, guardato e circondato dall’alto dai condomini popolari e il sapore amaro, di saliva che non scende quando ti poggiano il ferro da stiro sulle tempie. Ella ci tocca le corde della visione e della rivolta, del sentimento basso e sublime (noi che veniamo dalla terra, contadini di formazione, teatranti d’adozione). Il suo mondo è dentro la nostra pancia, è intorno ai nostri occhi come la nebbia: ci tocca, ci bagna, entra con la sua umidità nelle ossa.

E’ tardi, è vero, ma ci piacerebbe, una notte, vedere sbucar fuori dalla nebbia, avvolto in un cappotto e , probabilmente, con uno dei suoi cappelloni in testa e gli stivaletti bianchi, vedere sbucar fuori appunto Achternbusch. E portarlo al molo. E magari vedere un cargo che passa, o una petroliera, e lasciare che Herbert la insegua in mezzo alla nebbia facendosi largo tra i pescatori notturni, magari camminando anche un po’ sull’acqua e perderlo così di vista per vederlo riapparire vicino al parcheggio seduto cavalcioni su un ippopotamo. E dietro, come fondale, le barche dei ricchi del circolo velico che prendono fuoco a dipingere una notte che sembrava come tante, mentre un ragazzo, vestito da bavarese, seduto sul parapetto di cemento armato, regala margherite d’amore all’ostessa del bar del porto. Eugenio avrebbe acceso una candela e Lupo avrebbe cominciato a masticare parole e carne come se fosse William Blake.

Nell’aria, uno strano odore di olio canforato.

Perchè cerchiamo, come Ella, di vivere la vita vera.

E vivere potrebbe essere semplice, molto semplice.

Dunque io la storia della mia vita ce l’ho già
(H. Achternbusch, Ella)

Eugenio Sideri e Maurizio Lupinelli

foto   Enrico Fedrigoli

 

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