In mare, ancora.

Foglio di sala dello spettacolo

di Eugenio Sideri

 

Se dovessi dire quale personaggio sento più affine tra quelli incontrati nell’Inferno dantesco, direi Ulisse. E’ con questo sentimento che, anche quest’anno, sono entrato nella Casa circondariale di Ravenna.

Non l’astuzia, l’inganno, l’eloquenza traditrice dell’eroe omerico mi appartengono, ma la sfida, il volgersi in mare con una meta ignota, la curiosità e il desiderio sempre ardito di conoscenza.

L’unica certezza son le proprie mani, i propri occhi. E i compagni di viaggio. Loro sono lì, sono quelli di sempre ed anche nuovi ma già fedeli, accanto a te, pronti a remare o a issare le vele.

E si parte.

Unica certezza nel cammino: l’Inferno di Dante. Ci accompagna anche quest’anno nella creazione, nella meravigliosa fatica di re-inventarsi quelle parole, mai stanche di esser lette, mai stanche di accompagnare i viaggiatori in questi secoli.

Osservo questo gruppo di attori così diversi tra loro, eterogenei nelle fattezze e nei linguaggi, nel dire e nel fare la scena. A volte resto in silenzio anche solo per sentirli ridere: c’è un qualche cosa di catartico, di liberatorio, in quelle risate.  Cosa resta di tutto il ‘sapere’, del tanto ‘studiare’ se poi la scena, quella che andiamo a fare, non  ride?

La nostra risata, fatta di denti e respiri, di urla e sospiri, di lacrime e sudore, la nostra risata si fa viaggio. E noi ci facciamo Ulissi, nell’attraversare questi canti e le loro storie, i personaggi, le onde del mare che sbattono forte sulla ciglia della nostra nave, del nostro spettacolo.

Non so nuotare, diceva qualcuno, ma conosco la fatica del remo.

E allora remiamo, compagni di viaggio, remiamo.

Laggiù.