Foglio di sala, spettacolo 2016

di Eugenio Sideri

 

Partire. Ri-partire.

Alla fine, si parte.

Strano gioco di parole, ma sincero, specie per un finale di spettacolo.

‘a verità.

(da leggersi con chiara inflessione napoletana).

 

Vorrei scomodare Eduardo, e forse anche un po’ Totò. Perché quando la vita, a teatro, tocca e fa vibrare le corde della morte, penso al loro slang, a quella miscela esplosiva che ha reso, negli anni ’50, quella parlata partenopea così “teatrale” da divenire senso e sinonimo di tanto bel teatro.

Una parlata ‘bassa’, o meglio dal basso, che era capace di guadagnare la poesia con il suono, di rendere irritante un dialogo anche solo con la forzatura di una vocale, gridata, strisciata, gettata nella mischia della “sceneggiata”.

 

E poi ri-parto da Soffia! e guardo da dove siamo partiti, dove siamo andati, dove andremo.

E mi ritrovo a ri-partire. E nel viaggio trovare, o ri-trovare, ‘a verità.

Che parte dal basso, che ha anche qualcosa di napoletano, ma in una miscela di italiano che ha sapore di rumeno, romagnolo, albanese. Un sapore di giovani e meno giovani che hanno fatti i conti con le loro lingue (e le loro vite), studenti e non studenti.

Attori.

Mi innamoro a vederli così. Attori. Dalla verità esplosiva.

Eppure siamo a teatro. Casa, per definizione, della finzione.

Ma è lì che sta il gioco: partire e ri-partire, ogni volta, mettendoti e mettendoli in gioco.

Uno va e l’altro guida.

 

Prima o poi la si trova.

‘a verità.