Verso la fine degli anni ’90 ho iniziato a condurre laboratori teatrali per adulti.

Erano persone che incontravo per alcuni mesi, due volte la settimana. Con loro costruivo uno spettacolo che, puntualmente , andava in scena al termine del laboratorio.

Queste erano le parole con cui presentavo il laboratorio:

“In ogni laboratorio che conduco prevedo una messa in scena conclusiva. Non è importante se i partecipanti siano “alle prime armi” o abbiano avuto già esperienze sceniche: i rudimenti del lavoro scenico vengono immediatamente affrontati e messi in atto attraverso lo sviluppo scenico. La costruzione dello spettacolo prevede un primo periodo di conoscenza in cui si mettono in atto esercizi psicomotori, di attenzionalità e, fondamentalmente, di individuazione di problematiche quali la timidezza, la concentrazione, il disagio corporeo. Il lavoro immediatamente successivo, quello sul testo, permette di introdurre immediatamente gli esercizi nella pratica teatrale.

La messa in gioco personale diventa così elemento prevalente del lavoro.

La grammatica di base dell’attore non viene utilizzata per un fine strettamente teatrale ma per porci e porre in discussione le dinamiche psico-fisiche del quotidiano. Tento, attraverso il sapere dell’attore, di mostrare elementi che possano aiutarci nella conduzione del nostro lavoro e, indirettamente, ci permettano di fornire modi per interagire e stimolare. Ecco allora l’importante lavoro di messa in scena di un testo : la costruzione di un evento teatrale da mostrarsi pubblicamente.

Il partecipante al laboratorio teatrale, in fondo, come l’attore, si pone ogni giorno di fronte al suo pubblico e, ogni giorno, tenta di “arrivare” al suo pubblico, attraverso processi più o meno felici di comunicazione. La pratica dell’attore vuole proprio questo : fornire all’attore/laboratorista alcuni modi per “arrivare” al pubblico, per avviare un processo di interazione.

Il teatro come spazio della finzione, della “recitazione”, in realtà si pone come spazio vero, sincero, spazio ove non ci è possibile stare se non portando la nostra verità, noi stessi, ciò che siamo. La finzione scenica, senza la grande sincerità che l’attore-laboratorista porta, non conduce a nulla, se non a un simulacro terribile. È proprio contro questo simulacro, contro l’annichilamento del quotidiano che il teatro pone la sua matrice di ricerca e verità”.

Questa attività era sostenuta dall’Università per adulti “Bosi Maramotti ” di Ravenna.

Poi, nel 2016, divenni autonomo. E nacque formalmente il Cardioteatro, ovvero, il teatro fa bene al cuore.

Avevo capito che la maggioranza degli adulti che seguivano il laboratorio teatrale non lo facevano per ambizioni personali o velleità attoriali: era uno sfogo, un provarci, una messa in discussione personale attraverso lo strumento teatrale.